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lunedì 28 marzo 2011

730/2011: esonero per i redditi fondiari, conta anche l’abitazione principale

La ris. 35 dell’Agenzia chiarisce che, in presenza di soli redditi da terreni e/o fabbricati, nel limite di 500 euro va incluso anche tale reddito
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 Sabato 26 marzo 2011
Con la risoluzione 35 di ieri, 25 marzo 2011, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto opportuno offrire alcune precisazioni in merito alle condizioni per l’esonero dalla presentazione del modello 730/2011, in particolare, nel caso in cui un contribuente possieda solamente redditi da terreni e/o fabbricati.
Più precisamente, ci si riferisce ad alcune tabelle predisposte nelle istruzioni per la compilazione del modello 730/2011 – inserite con l’intenzione di semplificare il linguaggio della modulistica dichiarativa – che illustrano in forma sintetica le ipotesi in cui i contribuenti sono esonerati dalla presentazione della dichiarazione dei redditi.
Proprio al fine di evitare, ai soggetti tenuti all’adempimento dichiarativo, di interpretare erroneamente il contenuto delle predette tabelle e di ritenersi, conseguentemente, in possesso dei requisiti per l’esonero dalla presentazione della dichiarazione, l’Agenzia delle Entrate fornisce alcune precisazioni in merito alla tabella relativa ai “Casi di esonero con limite di reddito”, in relazione alla quale sono pervenute diverse richieste di chiarimento.
Nello specifico, è stato chiesto se l’avvertenza contenuta nell’intestazione della medesima tabella, laddove viene precisato che “il reddito complessivo deve essere calcolato senza tener conto del reddito derivante dall’abitazione principale e dalle sue pertinenze”, debba considerarsi riferita anche alla prima ipotesi di esonero in essa indicata, riguardante il caso in cui il reddito complessivo non superi 500 euro e risulti formato esclusivamente da redditi derivanti da terreni e/o fabbricati.
L’Agenzia delle Entrate evidenzia che la predetta avvertenza è stata predisposta in relazione alla generalità dei casi di esonero contenuti nella tabella.
Diversamente, per la verifica del rispetto del limite reddituale previsto nell’ipotesi considerata, il reddito derivante dall’abitazione principale e dalle sue pertinenze deve essere sempre incluso nei redditi dei fabbricati, in quanto esso costituisce a tutti gli effetti un reddito di natura fondiaria.
Per maggiore chiarezza, la risoluzione propone un esempio numerico
L’Agenzia delle Entrate, per fornire maggiore chiarezza, propone come esempio il caso di un soggetto che possiede un terreno con reddito imponibile di 450 euro ed un immobile adibito ad abitazione principale con reddito imponibile pari a 800 euro.
In tale ipotesi il reddito complessivo, pur risultando formato esclusivamente da redditi fondiari, ammonta a 1.250,00 euro – valore superiore al limite di 500 euro – e pertanto, non ricorrendo i presupposti dell’esonero, il contribuente è tenuto alla presentazione della dichiarazione. Ovviamente, l’imposta dovuta sarà calcolata soltanto sul reddito del terreno, pari a 450 euro, in quanto per l’abitazione principale e sue pertinenze spetta una deduzione corrispondente all’ammontare del relativo reddito (pari a 800 euro).

lunedì 21 marzo 2011

Da oggi mediazione «obbligatoria»

La mediazione diventa condizione di procedibilità nelle controversie civili e commerciali. Ecco cosa cambia per cittadini e professionisti
Il decreto che ha introdotto la mediazione finalizzata alla conciliazione (DLgs. n. 28/2010) aveva previsto che le disposizioni riguardanti la condizione di procedibilità della domanda giudiziale per alcune materie acquistassero efficacia soltanto dal 20 marzo 2011.
Recentemente, il c.d. “decreto mille-proroghe” ha disposto una proroga di ulteriori dodici mesi, ma solo con riferimento alle controversie in materia di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti (per tali materie, quindi, la condizione di procedibilità acquisterà efficacia dal 20 marzo 2012).
Da questa mattina chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione.
Per quanto riguarda i soli contratti bancari e finanziari, il primo comma dell’art. 5 del DLgs. n. 28/2010 dispone inoltre che l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità possa essere assolto ricorrendo ai servizi di un organismo accreditato dal ministero per la gestione dei procedimenti di mediazione (come nel caso di tutte le altre materie, siano esse o meno comprese tra quelle oggetto di condizione di condizione di procedibilità) oppure, in alternativa, ricorrendo alla Camera di conciliazione e arbitrato istituita presso la CONSOB (per le controversie insorte tra un investitore e un intermediario per la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza che sorgono dai contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento) ovvero all’Arbitrato Bancario Finanziario (per le controversie relative all’accertamento di diritti, obblighi e facoltà nascenti da operazioni e servizi bancari e finanziari).
Qualora il tentativo di mediazione non risulti esperito, l’improcedibilità dovrà essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, non oltre la prima udienza; oppure, sempre a pena di decadenza e non oltre la prima udienza, potrà essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Con l’entrata in vigore della condizione di procedibilità, si conclude il percorso voluto dal legislatore che ha inteso introdurre la mediazione finalizzata alla conciliazione quale strumento dichiaratamente destinato ad alleggerire il carico di lavoro dei tribunali.
Già dal 20 marzo 2010 chiunque poteva accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del DLgs. n. 28/2010.
E, da tale data, le domande di mediazione sono progressivamente aumentate.
Ma l’entrata in vigore della condizione di procedibilità (seppure solo per alcune materie) è senza dubbio destinato a dare un fortissimo impulso allo sviluppo dell’istituto ed è inevitabile attendersi una crescita esponenziale delle domande.
Sono tanti i vantaggi e le opportunità che caratterizzano la mediazione finalizzata alla conciliazione.
Innanzitutto, la durata: il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a 4 mesi, termine che decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione presso un organismo (che deve aver preventivamente ottenuto uno specifico accreditamento da parte del Ministero).
I costi sono contenuti e predeterminati: per le spese di avvio è dovuto da ciascuna parte un importo di euro 40,00, versato dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento.
E’ inoltre dovuto da ciascuna parte, per le spese di mediazione, l’importo indicato nella tabella allegata al DM n. 180/2010 (a mero titolo di esempio, per una controversia del valore di euro 50.000,00 è dovuto, da ciascuna parte, l’importo massimo di euro 600,00 e ciò indipendentemente dalla durata della mediazione e dal numero degli incontri).
Altro aspetto di grande rilevanza è rappresentato dalla possibilità che l’accordo raggiunto in mediazione possa costituire titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (previa omologa del verbale di accordo da parte del Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo presso il quale si è svolta la mediazione).
Non ultimi i vantaggi fiscali: 1) tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura; 2) il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000,00 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente; 3) in caso di successo della mediazione, alle parti è riconosciuto un credito di imposta fino a concorrenza di euro 500,00 (importo che, in caso di insuccesso, è ridotto alla metà).
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mercoledì 16 marzo 2011

Prima casa: se un coerede dichiara il falso, la decadenza opera per tutti

Con la ris. 33/2011, l’Agenzia delle Entrate chiarisce l’operatività della decadenza dall’agevolazione in caso di successione o donazione
Se uno solo dei coeredi dichiara il falso al fine di applicare il beneficio “prima casa” alla successione, la perdita dell’agevolazione opera per tutti i coeredi.
Tuttavia, la sanzione si applica al solo coerede che ha reso la dichiarazione mendace.
Questo è uno dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 33 di ieri, 15 marzo 2011.
La risoluzione esamina, in particolare, gli effetti della decadenza dall’agevolazione prima casa in caso di trasferimenti operati per successione o donazione.
Si rileva, in proposito, che le agevolazioni “prima casa” possono trovare applicazione (limitatamente alle sole imposte ipotecaria e catastale) anche nel caso in cui il trasferimento dell’abitazione avvenga per successione o donazione.
A norma dell’art. 69 comma 3 della L. 342/2000, infatti, le imposte ipotecaria e catastale sono dovute in misura fissa (168 + 168 euro), in presenza delle seguenti condizioni:
- che sia trasferita per successione o donazione la proprietà di un’abitazione non di lusso;
- che in capo al beneficiario del trasferimento o in capo ad almeno uno dei beneficiari (se sono più d’uno) sussistano i requisiti di “prima casa”, individuati dall’art. 1 comma 1, quinto periodo, della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86.
È, dunque, espressamente previsto che il trattamento di favore spetti anche se uno solo dei beneficiari riveste i requisiti.
Tuttavia, ai fini del godimento dell’agevolazione “prima casa” nell’ambito dei trasferimenti per successione o donazione, è necessario che l’interessato renda le dichiarazioni richieste dalla Nota II-bis all’art. 1 citato per l’accesso al beneficio.
Ne deriva che possono godere del beneficio dell’applicazione delle imposte in misura fissa anche coeredi o donatari che non sono in possesso dei requisiti, atteso che la norma dà rilievo al possesso dei requisiti solo in capo all’erede (o donatario) che rende le dichiarazioni.
Tale quadro normativo può far sorgere questioni nel caso di decadenza dal beneficio, o di dichiarazione mendace.
Ci si può domandare, infatti, se la dichiarazione mendace (in relazione, ad esempio, alla mancata titolarità di altre abitazioni nel medesimo Comune in cui si trova l’abitazione ricevuta per successione o donazione) resa dal dichiarante possa estendere i propri effetti nei confronti di tutti gli eredi (o donatari) e in quali limiti.
A tal proposito, nella risoluzione in commento, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che la mendacità della dichiarazione può essere imputata solo al soggetto che l’ha resa, sicché essa, pur comportando la decadenza dall’agevolazione in capo a tutti i coeredi (o donatari), determina l’applicabilità della sanzione in capo al solo erede (donatario) che abbia reso la dichiarazione mendace.
Invece, nel caso in cui l’erede (o il donatario) che abbia prestato la dichiarazione non trasferisca la propria residenza nel Comune entro 18 mesi dal trasferimento immobiliare, la decadenza dall’agevolazione opera per intero, ma il recupero dell’imposta, come anche la sanzione, saranno applicate integralmente al solo erede (o donatario) che abbia reso la dichiarazione relativa al trasferimento della residenza.
Per quanto concerne la decadenza dall’agevolazione in caso di alienazione infraquinquennale dell’immobile acquistato per successione o donazione, la risoluzione chiarisce che:
- ove il beneficiario dichiarante rivenda l’immobile prima di 5 anni dall’acquisto per successione o donazione, e non proceda entro un anno ad acquistare una nuova abitazione principale, la decadenza opera per intero, ma il recupero dell’imposta e le sanzioni si applicano solo in capo al dichiarante;
- ove la rivendita dell’immobile agevolato prima dei 5 anni venga operata da un erede (donatario) diverso da quello che aveva prestato le dichiarazioni, non si realizza nessuna decadenza dall’agevolazione, neppure in capo al soggetto che ha effettuato l’alienazione infraquinquennale.
Non rilevano i requisiti in capo ai coeredi non dichiaranti
Infatti – precisa l’Agenzia – la rivendita della quota di proprietà da parte del coerede che non aveva prestato la dichiarazione agevolativa è del tutto irrilevante, “non essendo possibile né perdere né mantenere un requisito che, di fatto, non era richiesto né posseduto ab origine”.
I coeredi che non hanno prestato le dichiarazioni agevolative, infatti, usufruiscono delle agevolazioni senza averlo espressamente richiesto e, pertanto, non possono avere effetti sul mantenimento o sulla perdita del beneficio.
Peraltro, conclude la risoluzione, tali soggetti non possono neanche optare per una diversa tassazione, in quanto l’agevolazione è concessa in modo unitario, a prescindere dalla loro richiesta.
 
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martedì 15 marzo 2011

I controlli delle Entrate sbarcano su Facebook

Entro una settimana gli accertamenti verranno operati a livello centrale, per ottenere informazioni su presunti evasori, anche mediante i social network
Entro una settimana l’attività di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria si effettuerà anche mediante i social network. Lo si è appreso ieri, a margine dell’inaugurazione della nuova sede regionale dell’Agenzia a Trieste. Il direttore delle Entrate Attilio Befera aveva annunciato la possibilità alcuni giorni fa, quando aveva dichiarato che il tanto atteso nuovo redditometro “potrebbe essere pronto per metà aprile e riguarderà i redditi del 2009”.
In questo modo, l’Amministrazione finanziaria farà proprio il modello già adottato da diversi Stati americani, a partire dalla California, dove però l’attenzione alla privacy è alta: lì, ad esempio, gli ispettori non possono usare false credenziali pur ottenere “l’amicizia” dei presunti evasori e accedere alle loro pagine personali.
Gli accertamenti verranno operati a livello centrale, al fine di reperire informazioni su presunti evasori: la scelta rientra tra le azioni promosse per rendere sempre più efficace il controllo sui contribuenti, che negli ultimi tempi hanno coinvolto sempre di più le nuove tecnologie.
L’obiettivo è anche instaurare un nuovo dialogo con i cittadini
L’obiettivo è però anche – come ha spiegato ieri il direttore vicario delle Entrate Marco Di Capua – quello di utilizzare Facebook e altri social network per instaurare un nuovo dialogo con i cittadini, puntando ad aprire una sorta di sportello on line: “Per necessità, abbiamo puntato prima di altri sull’innovazione tecnologica. Abbiamo l’esigenza di utilizzare strumenti d’avanguardia per rendere un servizio sempre più efficace al contribuente”.
In riferimento a Facebook, per Di Capua “un’amministrazione non può chiudersi: l’Agenzia vuole essere vicina in termini di assistenza al contribuente. Lo sportello web Civis è già stato fatto per i professionisti e non è da escludere un’evoluzione importante anche nel mondo dell’assistenza ai contribuenti”.
Non c’è però il rischio di invadere la privacy dei contribuenti, “seguendoli” in questo modo? “Al di là della figura un po’ mitica da Grande fratello, c’è attenzione al reddito consumato e viene usato ogni strumento che possa condurre ad avere informazioni, si chiami Facebook o sia un registro o l’iscrizione a un circolo esclusivo. L’ottica rimane quella di focalizzare l’attenzione su come il soggetto spende, non per il fatto che spende, ma per vedere se ha dichiarato”.
Sull’azione a contrasto dell’evasione fiscale è tornato ieri, a Trieste, anche il direttore delle Entrate Attilio Befera: “Nel 2010 – ha spiegato – abbiamo lavorato bene, ottenendo circa 10 miliardi di euro, da tutti i tipi di controlli. Questo è stato un contributo importante per la tenuta dei conti pubblici. Il 2011 conferma il trend: in particolare, abbiamo dato un colpo significativo alle compensazioni delle imposte in frode e questo ha avuto un grande effetto sull’IVA netta”.
Sul fronte delle imposte dirette, Befera ha evidenziato “una tenuta significativa, considerando la situazione generale del Paese. Il problema è che, se l’evasione vale 100 miliardi e ne abbiamo recuperati 10, e di questi solo una parte è strutturale, la strada da fare è lunga”.
Sempre ieri, Dipartimento delle Finanze, MEF e Ragioneria generale dello Stato hanno diffuso il Rapporto sulle entrate tributarie relativo al gennaio 2011. In base ai dati diffusi, il 2010 ha chiuso con un aumento delle entrate al netto delle una tantum di poco sopra lo zero (+0,3%), a quota 403 miliardi.
Nel mese di gennaio, inoltre, le entrate tributarie evidenziano una crescita del gettito rispetto a quello registrato nello stesso mese del 2010 (+1.114 milioni, pari al +3,3%). Le imposte del bilancio dello Stato registrano una variazione positiva (+982 milioni, pari al 3,2%). In particolare, per quanto riguarda le entrate tributarie del bilancio dello Stato (competenza giuridica), è significativo il buon risultato dell’IRE (+3,2%), per effetto dell’incremento delle ritenute sui lavoratori dipendenti e autonomi, e dell’IVA (+3,5%), mentre è in flessione l’IRES (-26,1%). Bisogno però ricordare l’assenza, nel mese di gennaio, di particolari scadenze fiscali e di versamenti di importo rilevante.
In crescita sostenuta anche i ruoli incassati, che nel mese evidenziano un incremento di 195 milioni (+54,5%).
Risulta invece in lieve flessione l’andamento delle imposte degli enti locali, che registrano una variazione negativa di 50 milioni (-3,1%) e quello delle poste correttive, che segnalano uno scostamento di -13 milioni (-1%).
L’andamento è ritenuto sostanzialmente in linea con le previsioni 2011 contenute nella Decisione di Finanza Pubblica presentata il 29 settembre 2010.
 

lunedì 14 marzo 2011

Sanzioni severe sulle compensazioni

Non convincono le indicazioni della circolare 13/2011 sulle sanzioni per le compensazioni in presenza di importi iscritti a ruolo
Con la circolare n. 13/E dell’11 marzo (si veda “Niente preclusione per la compensazione «verticale»”), l’Agenzia delle Entrate ha fornito gli attesi chiarimenti sulla tematica della compensazione dei crediti erariali in presenza di ruoli scaduti, che troverà la sua prima “completa” applicazione in occasione della prossima scadenza del 16 marzo.
Va detto che tutte le problematiche che erano state poste in rilievo sono state affrontate, anche se non sempre le conclusioni proposte dall’Agenzia appaiono condivisibili.
Un approfondimento che invece non era atteso, in quanto il tono letterale della disposizione, sebbene in modo un po’ “contorto”, non sembrava consentire letture “alternative”, è quello relativo al sistema sanzionatorio.
La norma dell’art, 31 del DL 78/2010, così come modificata in sede di conversione, stabilisce infatti che: “In caso di inosservanza del divieto di cui al periodo precedente si applica la sanzione del 50 per cento dell’importo dei debiti iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori e per i quali è scaduto il termine di pagamento fino a concorrenza dell’ammontare indebitamente compensato. La sanzione non puo’ essere applicata fino al momento in cui sull’iscrizione a ruolo penda contestazione giudiziale o amministrativa e non puo’ essere comunque superiore al 50 per cento di quanto indebitamente compensato”.
Per effetto del periodo introdotto dalla legge di conversione, che prevede appunto che la sanzione non può essere superiore al 50% dell’importo indebitamente compensato, si riteneva che la violazione del divieto di compensazione potesse essere punita dall’Amministrazione con una sanzione pari al minore tra il 50% dell’ammontare iscritto a ruolo ed il 50% di quanto compensato.
La circolare afferma invece che “la sanzione è misurata sull’intero importo del debito, ma trova un limite nell’ammontare compensato”, non attribuendo quindi valenza al periodo introdotto in sede di conversione.
Viene proposto un primo esempio, nel quale si ipotizza un ruolo scaduto di 25.000 euro e l’effettuazione di una compensazione di pari importo: il documento di prassi indica, correttamente, come in questo caso la sanzione sarà pari a 12.500 euro, ma sulla base del fatto che questo ammontare rappresenta il 50% del debito (omettendo il confronto con il 50% dell’importo compensato).

Il secondo esempio proposto ipotizza sempre la presenza di un ruolo scaduto di 25.000 euro, ma in questo caso la compensazione effettuata è pari a 18.000 euro: secondo le Entrate, anche in questo caso la sanzione ammonterebbe a 12.500 euro (ossia il 50% del debito), mentre, sulla base della disposizione, dovrebbe essere invece di 9.000 euro (tenendo conto del fatto che la sanzione non può superare il 50% di quanto indebitamente compensato).
Il terzo esempio formulato presuppone un ruolo scaduto di 70.000 euro e l’effettuazione di una compensazione di 25.000 euro: la sanzione sarebbe di 25.000 euro, rappresentando in questo caso l’importo compensato la sanzione massima applicabile. In realtà, la sanzione dovrebbe ammontare a 12.500 euro, dovendo sempre scattare la limitazione prevista dal periodo introdotto con la legge di conversione.
In tutte le esemplificazioni proposte, coerentemente ma, si ritiene, in modo errato, l’Agenzia determina quindi la sanzione facendo riferimento solo alla prima parte della norma, evitando di attribuire qualsiasi rilevanza al fatto che la disposizione afferma che la sanzione non dovrebbe mai eccedere il 50% dell’importo indebitamente compensato.
Una lettura di questo tipo, oltre a non apparire fedele al dato letterale della norma, appare non accettabile a livello di “sistema”: pone infatti sullo stesso piano chi compensa un credito legittimamente esistente, sebbene in presenza di ruolo, con chi invece utilizza un credito inesistente.
In modo che appare invece condivisibile, la circolare precisa poi che l’irrogazione della sanzione è effettuata con riferimento a ciascuna indebita compensazione operata in presenza di debiti iscritti a ruolo scaduti e non pagati superiori al limite di 1.500 euro: uno stesso ruolo scaduto e non onorato può determinare di conseguenza la comminazione di diverse sanzioni, qualora il contribuente effettui più compensazioni nel tempo.
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lunedì 7 marzo 2011

Saldo IVA per il 2010 entro il 16 marzo

Il versamento del saldo deve essere eseguito in via telematica, utilizzando il modello F24, in un’unica soluzione o a rate
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Entro il 16 marzo 2011, i soggetti che presentano la dichiarazione annuale IVA relativa al 2010 devono versare il saldo.
I contribuenti che presentano la dichiarazione annuale IVA con il modello UNICO 2011 possono effettuare il versamento entro il termine previsto per il pagamento delle imposte risultanti dal modello unificato (quindi entro il 16 giugno 2011 oppure entro il 18 luglio 2011, in quanto il 16 cade di sabato), con la maggiorazione dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo 2011.
Lo slittamento non è invece consentito a coloro che presentano la dichiarazione in forma autonoma. Tali soggetti, infatti, devono versare il saldo (o la prima rata) entro il 16 marzo, pena l’applicazione delle sanzioni.
Tra le novità per il 2011, con la circ. 25 gennaio 2011 n. 1, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, indipendentemente dalla presenza di un credito o di un debito annuale, è sempre possibile presentare la dichiarazione IVA annuale entro il mese di febbraio di ciascun anno, con il conseguente esonero dall’obbligo di presentazione della comunicazione dati IVA.
La presentazione in via autonoma della dichiarazione annuale non consente, però, di effettuare i versamenti IVA in base alle scadenze previste dal modello UNICO. Il saldo annuale, pertanto, deve essere versato entro il 16 marzo 2011 in un’unica soluzione, oppure a rate, maggiorando dello 0,33% mensile l’importo di ciascuna rata successiva alla prima.
È stata così estesa, in via interpretativa, la possibilità di anticipare la presentazione della dichiarazione annuale (e, quindi, di omettere la comunicazione dati) ai soggetti passivi che chiudono l’anno di riferimento con un debito IVA, evitando – in questo modo – una disparità di trattamento fondata sulla posizione (creditoria o debitoria) nei confronti dell’Erario.
Dalla lettura coordinata degli artt. 3 e 8-bis del DPR n. 322/1998 si evince, infatti, che l’esonero dalla comunicazione dati, seppure previsto – in via generale – per tutti i contribuenti che presentano la dichiarazione IVA entro il mese di febbraio, resta di fatto preclusa per coloro che evidenziano un saldo IVA a debito: la dichiarazione annuale, in tal caso, non può essere presentata in forma separata, dovendo essere necessariamente compresa nel modello UNICO.
Il saldo IVA può essere versato in un’unica soluzione oppure rateizzato in un numero di rate che va da un minimo di due a un massimo di nove (dal 16 marzo al 16 novembre). Si ricorda, tuttavia, che il versamento non è dovuto se di importo inferiore a 11 euro (per effetto degli arrotondamenti all’euro effettuati in dichiarazione).
Le modalità di rateazione delle somme dovute possono essere sintetizzate nel modo seguente:
- il pagamento deve essere effettuato con rate mensili di pari importo, maggiorate degli interessi a partire dalla seconda rata;
- il pagamento della prima rata deve essere effettuato entro il giorno di scadenza del saldo (16 marzo 2011), e delle altre rate entro il giorno 16 di ciascun mese successivo;
- la rateazione deve concludersi, comunque, entro il mese di novembre (l’ultima rata non può essere versata oltre il 16 novembre 2011).
Riassumendo, sia i soggetti che presentano la dichiarazione separata, sia quelli che presentano la dichiarazione IVA nel modello UNICO 2011 possono:
- versare il saldo in un’unica soluzione entro il 16 marzo 2011;
- ovvero rateizzare le somme dovute, a partire dal 16 marzo 2011, maggiorando dello 0,33% mensile l’importo di ciascuna rata successiva alla prima.
I soggetti che presentano la dichiarazione IVA nel modello UNICO, inoltre, possono:
- versare il saldo in un’unica soluzione entro la scadenza del modello UNICO con la maggiorazione dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo 2011;
- rateizzare dalla data di versamento delle somme dovute in base al modello UNICO, maggiorando l’importo da versare dapprima dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo 2011 e, in seguito, dello 0,33% mensile per ogni rata successiva alla prima.
Il versamento deve essere effettuato con il modello F24, esclusivamente con modalità telematiche, indicando nella sezione “Erario” il codice tributo 6099 “Versamento IVA sulla base della dichiarazione annuale”. Quale anno di riferimento va riportato il 2010.
Il versamento può essere effettuato utilizzando le procedure telematiche “F24 on line”, cui hanno accesso tutti i contribuenti in possesso del pincode di abilitazione al servizio (per usufruire di tale servizio è necessario avere un conto corrente presso una banca convenzionata con l’Agenzia delle Entrate, sul quale addebitare le somme dovute), oppure “F24 cumulativo”, riservato agli incaricati della trasmissione telematica delle dichiarazioni che intendono eseguire i versamenti online delle somme dovute dai loro clienti con addebito diretto sui conti correnti bancari di questi ultimi o sul conto corrente dell’intermediario medesimo, mediante i sistemi di home/remote banking collegati al circuito CBI (Corporate Banking Interbancari) oppure quelle messe a disposizione dal sistema bancario o da altri sistemi di home banking offerti dagli istituti di credito o dalla società Poste Italiane Spa.
Nel caso si opti per il pagamento rateale, nella colonna Rateazione del modello F24 deve essere indicato il numero della rata oggetto del pagamento e il numero di rate complessivo.
Ad esempio, se si opta per il versamento in 4 rate, l’indicazione da riportare per il versamento della prima rata sarà “0104”. Se, invece, il versamento non viene rateizzato, deve essere indicato il valore “0101”.
Gli interessi relativi alla rateizzazione devono essere esposti nel modello F24 separatamente dall’ammontare della rata dell’IVA da versare a saldo, con il codice tributo “1668”.
Si ricorda, infine, che, in base al disposto dell’art. 13 del DLgs.  n. 472/1997, come modificato dall’art. 1, comma 20, lett. a) della L. n. 220/2010 (Finanziaria 2011), in caso di omesso o tardivo versamento, è possibile ravvedersi entro i 30 giorni successivi, versando la sanzione ridotta al 3% (un decimo del 30%), oppure entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al 2011, con la sanzione ridotta al 3,75% (un ottavo del 30%).
In entrambi i casi, sono dovuti gli interessi legali calcolati dal giorno successivo a quello di scadenza fino al giorno di pagamento compreso (si ricorda che dal 1° gennaio 2011, per effetto del DM 7 dicembre 2010, il tasso di interesse legale è stato aumentato dall’1% all’1,5% annuo).

giovedì 3 marzo 2011

Cedolare secca sugli affitti in dirittura d’arrivo

Il DLgs. sul federalismo municipale ha incassato ieri la fiducia della Camera: la misura prevede una doppia aliquota al 21% e al 19%
Lo schema del DLgs. in materia di federalismo fiscale municipale ha incassato ieri la fiducia alla Camera, con 314 voti a favore e 291 contro. L’Aula ha approvato la risoluzione della maggioranza a favore del testo trasmesso dal Governo alle Camere il 15 febbraio 2011. Senza l’approvazione del parere sullo schema da parte della Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, infatti, in base all’art. 2, comma 4 della L. n 42 del 2009, il testo doveva essere ritrasmesso alle Camere con osservazioni, eventuali modificazioni e comunicazioni del Governo davanti a ciascuna Camera. L’iter si è concluso con la questione di fiducia. Questa mattina, il DLgs. dovrebbe avere il via libera definitivo in Consiglio dei Ministri, per poi passare alla firma del Presidente della Repubblica.
Tra le misure del DLgs. che rientrano nella prima fase della riforma figura l’introduzione, a partire da quest’anno, di una cedolare secca facoltativa sugli affitti. L’art. 3 del decreto, infatti, stabilisce un regime alternativo a quello ordinario applicabile per la tassazione del reddito fondiario per le persone fisiche proprietarie di immobili o titolari di diritti reali di godimento su unità immobiliari abitative locate a uso abitativo. Il regime opzionale prevede che il canone di locazione, relativo ai contratti aventi a oggetto immobili a uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all’abitazione, possa essere assoggettato, a scelta del locatore, a una cedolare secca, con aliquota, da calcolare sul canone annuo di locazione, pari al 21% per i contratti a canone libero e al 19% per quelli a canone concordato o relativi a immobili ubicati nel Comuni ad alta tensione abitativa individuati dal CIPE. La nuova disciplina non trova applicazione per le locazioni di immobili a uso abitativo effettuate nell’esercizio di attività d’impresa e di arti e professioni.
L’imposta è sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, dell’imposta di registro e di bollo sul contratto di locazione, sulla sua risoluzione o sulla proroga del contratto medesimo. Le modalità per l’esercizio dell’opzione, per il versamento in acconto e a saldo della relativa imposta dovranno essere stabilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del DLgs. La misura dell’acconto è comunque pari all’85% per il 2011 e al 95% a partire dal 2012.
In caso di mancata indicazione in dichiarazione dei redditi, o di indicazione in misura inferiore a quella effettiva, del canone, il decreto prevede l’applicazione, in misura raddoppiata, rispettivamente, delle sanzioni amministrative previste dall’art. 1, commi 1 e 2 del DLgs. n. 471/97. In deroga, poi, a quanto previsto dal DLgs. n. 218/97, per i redditi derivanti dalla locazione di immobili a uso abitativo, nel caso di definizione dell’accertamento con adesione del contribuente o di rinuncia all’impugnazione dell’accertamento, si applicano, senza riduzione, le sanzioni amministrative previste dagli artt. 1, commi 1 e 2 e 13 del DLgs. 471/97.
L’art. 3, comma 11 del DLgs. sul federalismo municipale prevede anche una misura di sostegno a favore degli inquilini. Nel caso di opzione per il regime alternativo, infatti, il locatore non potrà richiedere, per tutta la durata dell’opzione, l’aggiornamento del canone, incluso l’aggiornamento agli indici ISTAT dei prezzi al consumo, ancorché previsto dal contratto. La disposizione si applica anche ai contratti in corso alla data di entrata in vigore del decreto.
L’art. 5 del DLgs. prevede poi che, con regolamento da adottare ai sensi dell’art. 17, comma 2 della L. n. 400/88, su proposta del Ministero dell’Economia e d’intesa con la Conferenza Stato-città entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, venga disciplinata la graduale cessazione, anche parziale, a partire dal 2011, della sospensione del potere di Comuni di istituire o di aumentare l’addizionale IRPEF. Si tratta, cioè, della parziale rimozione del “blocco” del potere di deliberare aumenti di tributi, addizionali, aliquote o maggiorazioni di aliquote attribuiti ai Comuni. Se il decreto non viene emanato entro il suddetto termine, possono esercitare tale facoltà i Comuni che non istituito l’addizionale o l’hanno fatto in ragione di un’aliquota inferiore allo 0,4%; comunque, l’addizionale non può essere istituita o aumentata in misura superiore allo 0,2% annuo.
Tra le altre misure contenute nel DLgs. compaiono: dal 2011, la devoluzione a favore dei Comuni dell’intero gettito o di una quota di gettito derivante dai tributi statali nel comparto territoriale e immobiliare e una compartecipazione al gettito dell’IVA, con misura da definire mediante DPCM; contestualmente, cessa di essere applicata la compartecipazione all’IRPEF pari allo 0,75%; imposta di soggiorno, fino a un massimo di 5 euro per notte, applicabile dai Comuni con deliberazione del Consiglio; imposta di scopo, che servirà per finanziare specifiche opere pubbliche; dal 2014, l’Imposta Municipale Propria (IMU) sugli immobili diversi dall’abitazione principale, che sostituirà, per la componente immobiliare, l’IRPEF, le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari attinenti ai beni non locati e l’ICI.
 
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mercoledì 2 marzo 2011

Fondo patrimoniale aggredibile solo se il debito è connesso ai bisogni familiari

Qualora, invece, il debito fiscale sia sorto per finalità estranee alle necessità della famiglia, il fondo non può essere aggredito dal Fisco
Risulta sempre più difficile, per il Fisco, aggredire i beni inseriti in fondo patrimoniale per il mancato pagamento di imposte da parte di imprese a cui partecipino i coniugi costituenti il fondo stesso. È quanto si evince dalla più recente giurisprudenza delle Commissioni tributarie, che da alcuni mesi, in modo sostanzialmente costante, si pronuncia nel senso di non consentire l’azione esecutiva su beni (tipicamente immobili) inseriti dai coniugi in fondi patrimoniali. L’orientamento delle Commissioni (si citano, fra le più recenti, la C.T. Prov. Milano 20 dicembre 2010 n. 437, la C.T. Reg. Torino 18 maggio 2010, la C. T. Prov. Grosseto 30 novembre 2009 n. 280, la C.T. Reg. Torino 18 novembre 2009 n. 56; contra C.T. Reg. Venezia 10 novembre 2009 n. 4) è, infatti, quello di precludere ad Equitalia l’azione esecutiva e cautelare che si fonda sulla trascrizione di ipoteche anche su beni inseriti in fondi patrimoniali (per l’approfondimento, si veda “Gli strumenti di tutela del patrimonio”). Tale ultimo orientamento (che sta in qualche modo affermandosi, rispetto a quello 2007/2008 e dei primi mesi del 2009 maggiormente ondivago e che fondava l’iscrivibilità o meno dell’ipoteca sulla natura rispettivamente cautelare o esecutiva dell’istituto ipotecario) trae presumibilmente le sue mosse da due pronunce della Cassazione intervenute nel corso del 2009: la n. 15852 del 7 luglio 2009 e la n. 38925 del 7 ottobre 2009. In esse è, infatti, emerso il seguente “assioma”: il giudice di merito adìto dovrà di volta in volta valutare non la natura legale o contrattuale dell’obbligazione, bensì lo scopo per cui tale obbligazione è sorta. In altri termini, sulla base delle disposizioni di cui all’art. 170 c.c., l’indagine, secondo i giudici di legittimità, andrà effettuata nel merito e dovrà essere finalizzata a evidenziare se il debito (fiscale) è specificatamente sorto per soddisfare i bisogni familiari, situazione in cui il fondo potrà essere aggredito, o se il debito sia nato per finalità estranee alle necessità della famiglia, situazione nella quale al Fisco non sarà consentita azione alcuna. In sostanza, ai fini degli effetti “segregativi” del vincolo di destinazione costituito attraverso il fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva non va ricercato nella natura (ex contractu, ex lege o ex delicto) delle obbligazioni, bensì nella relazione esistente tra il fatto generatore di esse e i bisogni della famiglia. Su queste basi la maggior parte delle Commissioni tributarie (seppure con qualche eccezione) ha ritenuto negli ultimi mesi che, nel caso di debiti fiscali, manchi quell’inerenza immediata e diretta fra i crediti erariali e i bisogni della famiglia che nascono da una specifica obbligazione legale del tutto “esterna” ai bisogni familiari. In pratica, i debiti tributari non sarebbero collegati in modo “immediato e diretto” con le esigenze familiari e quindi non legittimerebbero l’esecutività. Irrilevante, al riguardo, si è ritenuta la mancata conoscibilità da parte del Fisco dell’estraneità dell’obbligazione tributaria rispetto ai bisogni della famiglia, espressamente richiesta dall’art. 170 c.c. al fine di escludere l’esecutibilità dei beni e dei frutti conferiti nel fondo. Tale eventuale conoscenza, infatti, non consentendo al creditore nessuna scelta di merito, non potrà incidere sull’opponibilità del vincolo. Appare opportuno segnalare, peraltro, come il novellato art. 96 comma 3 del codice di procedura civile potrebbe rendere ancora più prudente Equitalia in merito all’iscrizione di ipoteche in situazioni di dubbia legittimità. Non può, infatti, sottacersi come il Tribunale di Roma (sentenza del 9 dicembre 2010, commentata in “Risarcito il contribuente se l’ipoteca è illegittima” del 17 gennaio 2011), seppur per vicenda di carattere extra-fiscale, ma sulla base di princìpi validi anche in ambito fiscale, abbia condannato Equitalia alla corresponsione di una somma a titolo di indennizzo in applicazione del suddetto articolo per l’iscrizione su bene di ipoteca illegittima. In definitiva, pare di poter concludere che, se è indubbio che la costituzione di un fondo potrebbe anche essere funzionale al successivo mancato pagamento delle imposte da parte della famiglia che lo ha costituito, e possa essere impiegato per scopi illegali, è altrettanto vero che lo stesso potrà essere revocato ex art. 2901 c.c. e invalidato, riconoscendone la “simulazione” con rischio di incriminazione non solo per i costituenti ma anche, a titolo concorsuale, per i loro consulenti, soprattutto per reati di bancarotta distrattiva (art. 216 L. fall.) o per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 DLgs. 74/2000) ed eventuale concorso in tali reati. Qualora, tuttavia, non siano dimostrati intenti fraudolenti e siano trascorsi cinque anni da tale costituzione, il fondo si consolida e l’Erario che voglia iscrivere ipoteca sul bene immobile dovrà dimostrare che il debito è riconducibile alle necessità familiari, onere, questo, ai limiti della probatio diabolica.
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martedì 1 marzo 2011

Più spazio alla dilazione dei ruoli

La legge di conversione del Milleproroghe rinvia quelle ove il contribuente non ha pagato la prima rata, concesse però solo fino al 27 febbraio
Il DL n. 225/2010 (c.d. “Milleproroghe”), come noto, è stato definitivamente convertito con la legge n. 10/2011, pubblicata nel Supplemento Ordinario n. 53 della Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio scorso. In sede di conversione, è stata introdotta una disposizione in tema di dilazione delle somme iscritte a ruolo ai sensi dell’art. 19 del DPR 602/1973.
La norma prevede che Equitalia, su richiesta del contribuente, può concedere, anche a esecuzione avviata, la dilazione del carico iscritto a ruolo in un massimo di settantadue rate mensili, previa dimostrazione della temporanea situazione di obiettiva difficoltà all’adempimento.
Ai fini dell’ottenimento della dilazione, per effetto delle modifiche apportate all’art. 19 del 602 da parte del DL n. 112/2008, non è più necessaria la prestazione di alcuna garanzia. Inoltre, lo stato di difficoltà economica, dal punto di vista operativo, viene dimostrato dal contribuente mediante i requisiti indicati da Equitalia in varie direttive, che differenziano, tra l’altro, i contribuenti persona fisica dalle imprese.
Il terzo comma dell’art. 19 prevede testualmente che il debitore decade dal beneficio della dilazione, alternativamente, quanto abbia omesso il versamento della prima rata del piano di ammortamento, o quando abbia omesso il pagamento di due rate successive alla prima.
In questa ipotesi, le conseguenze sono alquanto pregiudizievoli, siccome l’intero importo residuo è riscuotibile in un’unica soluzione, e la rateazione non può più essere concessa.
La novità del Milleproroghe interviene proprio su tale aspetto, prevedendo che, in riferimento alle dilazioni concesse sino alla data di entrata in vigore della legge di conversione (la legge è entrata in vigore il 27 febbraio 2011), qualora vi sia stato il mancato pagamento della prima rata, o, successivamente, di due rate, le dilazioni “possono essere prorogate per un ulteriore periodo e fino a settantadue mesi a condizione che il debitore comprovi un temporaneo peggioramento della situazione di difficoltà posta a base della concessione della prima dilazione” (art. 2, comma 20 della L. n. 10/2011).
Il contribuente deve dimostrare la situazione di difficoltà
Quindi, i contribuenti che, per varie ragioni, hanno omesso ad esempio il versamento della prima rata, non rischiano automaticamente di perdere il beneficio della dilazione, in quanto Equitalia può, in sostanza, riconcedere il beneficio, sino, però, alle dilazioni concesse fino al 27 febbraio.
Il dettato normativo prevede che ciò è subordinato alla dimostrazione, ad opera del contribuente, di  un temporaneo peggioramento della propria situazione di difficoltà posta a base della prima richiesta di dilazione, per cui, sotto il profilo operativo, non è escluso che Equitalia emani specifiche direttive sul tema.