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martedì 29 gennaio 2013

REDDITOMETRO: non può mancare il contraddittorio.


Sia nel nuovo che nel vecchio redditometro è obbligatoria la preventiva instaurazione del contraddittorio con il contribuente

La mancanza di contraddittorio non può che determinare la nullità dell’avviso di accertamento da “redditometro”.

La sentenza. Lo ha sostenuto la Commissione Tributaria Provinciale di Torino, nella recentissima sentenza n. 3/4/13, in linea con l’insegnamento della Cassazione.
Casa, auto e moto. Il giudizio trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento, mediante il quale l’Ufficio rideterminava il reddito del contribuente per il 2008, in via sintetica, sulla base di taluni indici di maggiore capacità contributiva quali: il possesso di un autovettura, di un ciclomotore e di un immobile di proprietà (un villino).

Assenza di contraddittorio. Ebbene, con il ricorso il contribuente ha eccepito, in via pregiudiziale, la mancata instaurazione del contraddittorio in violazione del principio del giusto procedimento amministrativo e del principio di cooperazione tra Ufficio e contribuente. Tale eccezione è stata considerata fondata dal Collegio di Torino, che ha così annullato l’accertamento.

Obbligo retroattivo. I giudici di primo grado ricordano che l’art. 22 del D.L. n. 78 del 2010 ha modificato l'art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973, stabilendo l’obbligo preventivo del contraddittorio; obbligo che si riferisce non solamente agli accertamenti per l’anno d’imposta 2009, ma anche a quelli pregressi, stante l’efficacia retroattiva della previsione di legge.

Studi & parametri. Nelle sentenze 4 giugno 2010 n. 13594 e 21 maggio 2010 n. 12588 le Sezioni Unite hanno stabilito che l’applicazione dei parametri e degli studi di settore, costituisce un sistema di “presunzioni semplici”, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce nel corso del procedimento in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’avviso di accertamento.

Anche prima del 2009. 
Successivamente, sempre la Cassazione, in tema di “vecchio redditometro”, è giunta alla conclusione che la mancata instaurazione del contradditorio non può che determinare la nullità dell’avviso di accertamento (sen. n. 13298/11 e ord. n. 21661/10). Ciò perché i dati e le informazioni acquisiti in sede di contradditorio consentono di adeguare l’elaborazione statistica degli standard considerati dei D.M. del 1992 alla concreta realtà economica del contribuente. “Per cui le nuove norme del 2010 sul sintetico – si legge in sentenza – trovano applicazione anche ai vecchi accertamenti anteriori all’anno d’imposta 2009”, in coerenza con gli obblighi di lealtà, trasparenza, buona fede e collaborazione sanciti dalla Legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente). Ne consegue l'illegittimità degli accertamenti da redditometro ogniqualvolta manchi la preventiva instaurazione del contraddittorio, in applicazione retroattiva del settimo comma, dell’articolo 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, come novellato dall'art. 22 del citato D.L. n. 78/2010 (v. anche CTR Puglia n. 9/11/2012).
Autore: Redazione Fiscal Focus

lunedì 28 gennaio 2013

Redditometro: i beni ad uso promiscuo


Nella calcolo effettuato dal redditometro rileveranno per la parte non fiscalmente deducibile

Premessa – Le spese e i costi d'acquisto relativi ai beni che si considerano “promiscui” all’attività d’impresa o professionale dovranno rilevare, ai fini del Redditometro, per la quota parte di spesa non fiscalmente deducibile. Questo è quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nel corso del confronto tenuto con gli esperti del settore lo scorso 17 gennaio.

Decreto redditometro - Il Decreto attuattivo del Redditometro (D.M. 24 dicembre 2012) ha previsto che “non si considerano sostenute dalla persona fisica le spese per i beni e servizi se gli stessi sono relativi esclusivamente ed effettivamente all’attività di impresa o all’esercizio di arti e professioni, sempre che tale circostanza risulti da idonea documentazione”. Si parla quindi di spese relativamente a beni “esclusivamente ed effettivamente” utilizzati nell'attività. In sostanza viene confermato quanto già si immaginava visto che se un certo macchinario risulta strumentale all'attività d'impresa, non potrà certo essere messo in discussione che lo stesso rilevi anche ai fini del Redditometro.

Beni a uso promiscuo –
 Al contrario, nel decreto non è stato fatto alcun cenno circa la rilevanza dei beni utilizzati promiscuamente nell’attività d’impresa (o professionale) e nell’ambito personale. Un primo parere era stato dato con la pubblicazione del Redditest in quanto nelle istruzioni per la sua compilazione l’Agenzia delle Entrate aveva affermato che in caso di immobile utilizzato a uso promiscuo per attività di impresa o professionale va indicata anche la quota parte di spesa non deducibile fiscalmente nell’impresa ed ancora per quanto riguarda le autovetture a uso promiscuo le stesse vanno indicate per la parte non riferibile al reddito professionale o d’impresa.

Risposta dell’Agenzia delle Entrate – 
Ora la conferma arriva direttamente dagli esperti dell’Agenzia delle Entrate i quali nel corso dell’incontro tenuto con la stampa specializzata sono stati sottoposti alla questione relativa al fatto che il decreto sul redditometro considera come non sostenute le spese per i beni e servizi relativi esclusivamente ed effettivamente all’attività d’impresa o di lavoro autonomo, ma non dice nulla circa i beni a uso promiscuo, quali ad esempio le autovetture e quindi sorge legittimo chiedersi come rileveranno tali beni e in quale misura. Al riguardo gli esperti dell’Agenzia delle Entrate hanno affermato che “i beni e servizi non esclusivamente ed effettivamente relativi all’attività d’impresa o di lavoro autonomo, come ad esempio le auto ad uso promiscuo, rilevano per la parte non riferibile al reddito professionale o d’impresa ovvero per la quota parte di spesa non fiscalmente deducibile”.

Rilevanza percentuale 
- In sostanza per i beni a uso promiscuo occorrerà percentualizzare i relativi dati e tenere conto delle predeterminazioni legali forfetarie dell'inerenza nell'attività stabilite dalla legge. Nel caso delle autovetture, ad esempio, tenuto conto dei nuovi limiti di deducibilità introdotti dalla Legge di Stabilità per il 2013 (legge n.228 del 2012) i costi di acquisto e mantenimento concorreranno alla determinazione sintetica del reddito di imprenditori e professionisti in misura pari all'80% degli stessi.

Percentuali ex lege
 - Difficilmente, si ritiene, gli uffici accetteranno di considerare percentuali più alte (in modo da avere una minore rilevanza ai fini del Redditometro) per un più intenso uso del bene nell'attività, in quanto si tratta di percentuali stabilite ex lege. Si evidenzia anche il fatto che la forfetizzazione delle spese prevista con le percentuali ex lege si applica sia relativamente all'“investimento” che in relazione ai “consumi”.

Auto - Nel caso delle auto aziendali la necessità di dividere i costi è ancor più sentita, in quanto sono elementi che hanno sempre inciso pesantemente nella quantificazione del reddito determinato sinteticamente e la diretta conseguenza della loro non corretta valutazione sarebbe l'emersione di basi imponibili superiori alla reale capacità contributiva del soggetto.
Autore: Devis Nucibella

venerdì 25 gennaio 2013

Sanzioni tributarie: principio del “favor rei”


Cassazione Tributaria, sentenza del 24 gennaio 2013

Il giudice tributario, anche d’ufficio, può applicare al contribuente sanzioni fiscali più leggere se previste da norme subentrate a quelle applicabili all’epoca dell’accertamento. Tanto, in ossequio del principio del “favor rei”.

La sentenza
. Lo ha ricordato la Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza numero 1656, pubblicata ieri.

Il caso. L’Agenzia delle Entrate, mediante la notifica di un avviso d’accertamento,contestava a un istituto di credito l’omessa ritenuta alla fonte su interessi relativi a depositi in valuta presso altre banche e istituzioni estere, detenuti dalla contribuente in qualità di “banca agente”. In tale frangente venivano anche irrogate alcune soprattasse. Ne è scaturito un contenzioso, che in sede di legittimità si è concluso solo parzialmente a favore della parte privata.

Regime più favorevole. La Corte ha accolto il motivo di ricorso con il quale la banca ha lamentato la mancata applicazione delle disposizioni di legge che in tema di sanzioni stabilivano un regime più favorevole rispetto alle norme, ormai abrogate, cui aveva fatto riferimento l’Amministrazione Finanziaria.

Favor rei
 .E infatti sul punto i giudici di Piazza Cavour hanno ricordato che, in via generale, “costituisce jus receptum il principio secondo cui, in forza dello jus superveniens più favorevole – correlabile anche alla Statuto del contribuente – può affermarsi che, in tema di sanzioni tributarie, alla abrogazione del principio di ultrattività delle disposizioni sanzionatorie è subentrato il principio del favor rei nella sua duplice prospettazione; nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che secondo la legge posteriore non costituisce violazione punibile; se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa si applica la legge più favorevole”.

Non serve istanza di parte.La Corte ha poiprecisato che il principio è applicabile anche d’ufficio e in ogni stato e grado del giudizio, a condizione che vi sia un procedimento ancora pendente e che il provvedimento impugnato non sia definitivo. La giurisprudenza si è pronunciata più volte in questo senso e, in particolare, con la sentenza numero 1055 del 2008 è stato chiarito che le disposizioni di legge invocate dalla ricorrente (ossia gli articoli 3 e 25, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997) sono entrate in vigore il 1° aprile 1998, incidendo sul “quantum” della sanzione tributaria in senso favorevole al contribuente. Esse hanno infatti sostituito alla somma delle singole sanzioni speciali criteri di calcolo previsti per il concorso di violazioni tributarie e per la continuazione. Inoltre, il D.Lgs. n. 472 del 1997 “rende espressamente applicabili le nuove disposizioni – in particolare, per quanto interessa, quelle contenute nell’art. 3, comma 3, stesso testo, introduttive del principio di legalità e di favore per il contribuente – ai processi in corso, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo” (v. Cass. n. 4408/2001).
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 24 gennaio 2013

Riccometro. I controlli si fanno più pressanti


Oggi verrà presentata la Riforma ISEE che introduce nuove modalità di calcolo per contrastare gli abusi di chi gode indebitamente delle prestazioni sociali

Redditometro Riccometro 150x150
Premessa – Ben presto i finti poveri saranno messi con le spalle al muro. Infatti, da una parte ci sarà il redditometro che ha lo scopo di scovare tutti i furbetti che dichiarano meno di quanto effettivamente spendono, e d’altra parte abbiamo il riccometro che individuerà coloro i quali usufruiscono di servizi sociali a condizioni agevolate anche se non ne hanno diritto (mense scolastiche, rette per asilo nido, assegni di maternità, tasse universitarie, ecc.). Quest’ultimo strumento, in particolare, marcherà molto più da vicino il contribuente rispetto al passato sia nella prima fase di valutazione delle richieste di accesso agevolato ai servizi sociali sia in sede di successivo accertamento. Inoltre sarà dato più potere all’INPS, che gestisce il database centralizzato dell’ISEE, in quanto potrà monitorare con maggiore profondità rispetto al passato la consistenza effettiva del reddito e del patrimonio dei contribuenti e dei loro nuclei familiari, “guardando” da vicino anche i conti correnti e la ricchezza finanziaria censiti nell’anagrafe dei rapporti, grazie a uno scambio di informazioni sempre più mirato con l’Agenzia delle Entrate. Intanto il decreto, che nei giorni scorsi ha ottenuto il via libera del Consiglio di Stato, è atteso quest’oggi per la presentazione.

Composizione del riccometro – Ma come si compone il riccometro? Ebbene, esso è dato sostanzialmente dalla somma dell’indicatore della situazione reddituale e patrimoniale (20% del totale); la somma ottenuta va poi rapportata con una scala di equivalenza all’ampiezza del nucleo familiare. Nel dettaglio, la situazione redditualeè data dalle seguenti voci: IRPEF (se è composto da reddito di lavoro dipendente si ha diritto a una franchigia del 20%, fino a un massimo di 30mila euro; se si tratta invece di reddito di pensione, la franchigia è fino a 1.000 euro); casa e terreni (il valore dei fabbricati è il 60% in più rispetto ai vecchi valori ICI); redditi esenti; rendimenti (ossia i proventi del patrimonio mobiliare, c/c, depositi, BOT, ecc.) e assegni per il mantenimento dei figli effettivamente percepiti. La situazione patrimoniale invece è composta da: casa e terreni (ossia il valore dei fabbricati e dei terreni ai fini IMU, da ciò si detrae, fino a concorrenza, l’ammontare del debito residuo. Da precisare che l’abitazione principale si considera per 2/3 e valgono anche gli immobili all’estero); deposito e c/c (si considera il saldo netto degli interessi alla data riferita all’ultimo trimestre dell’anno precedente la dichiarazione); BOT e CCT (ossia il valore nominale dei titoli di Stato presenti al 31/12 dell’anno precedente); società quotate (il valore delle azioni risultanti nell’ultimo prospetto); società non quotate (vale a dire le partecipazioni azionarie in società non quotate). Mentre per quanto riguarda lo stato di famiglia, sono previsti degli indici (da rapportare alla somma ottenuta) che variano in base al numero di componenti del nucleo familiare, nel seguente modo: 1 componente (1,00); 2 componenti (1,57); 3 componenti (2,04) quattro componenti (2,46); cinque componenti (2,85). Al riguardo, va precisato che costituisce un solo nucleo i coniugi che hanno diversa residenza anagrafica, a meno che non siano legalmente separati, divorziati o uno dei due abbia perso la potestà sui figli. Inoltre, il figlio maggiorenne non convivente con genitori e a loro carico ai fini IRPEF, se non è coniugato e senza figli, fa parte del nucleo familiare dei genitori.

Più potere all’INPS – Siccome per ora è previsto un sistema strutturato di controllo soltanto per le dichiarazioni ISEE presentate direttamente all’INPS, sarà proprio a questo Istituto che dovranno essere trasmesse, entro quattro giorni, per via telematica, da tutti i soggetti incaricati di riceverle (Comuni, Caf o le amministrazioni alle quali è richiesto il beneficio), le Dsu, vale a dire le dichiarazioni sostitutive uniche propedeutiche al rilascio dell’ISEE. Inoltre, il calcolo ISEE sarà affidato all’INPS che lo effettuerà sulla base delle componenti autodichiarate dal contribuente, degli elementi acquisiti dall’Agenzia delle Entrate e di quelli presenti negli archivi amministrativi dello stesso Istituto previdenziale.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 23 gennaio 2013

Redditometro: franchigia doppia per il contribuente


Nel redditometro allo scostamento del 20% si aggiunge il limite di 12.000 €

Premessa – Per selezionare i contribuenti da sottoporre ad accertamento da redditometro, l’Amministrazione Finanziaria in aggiunta alla differenza del 20% tra reddito dichiarato e reddito presunto dovrà considerare anche il limite di 12.000 €.

Controlli da redditometro - L’Agenzia delle Entrate ha sempre dichiarato che il redditometro non sarà uno strumento di accertamento di massa, al contrario dovrà essere utilizzato per casi di “grande evasione”. I risultati del piano straordinario previsto per il triennio 2009-2011 confliggono però con detto obiettivo, atteso che se da un lato lo stesso ha consentito di incrementare i controlli portandoli nel 2011 a circa 36.000 (risultato numerico preso a base per la fissazione dell’obiettivo 2012), dall’altro va rilevato che al detto incremento numerico registrato nel triennio 2009-2011, ha solo in parte corrisposto il netto miglioramento qualitativo, auspicato nelle circolari n. 13/E del 2009, n. 20/E del 2010 e n. 21/E del 2011, in quanto l’evasione recuperata nel 2011 è stata pari a 586 milioni di euro per una media di 16.100 € per ogni singolo accertamento effettuato.

Franchigia – Proprio nell’intento di elevare il livello qualitativo degli accertamenti, cioè di aumentare l’importo dell’evasione recuperata per ogni singolo accertamento, l’Agenzia delle Entrate per voce del vicedirettore Marco Di Capua ha annunciato l’inserimento di una franchigia di 12.000 € sugli scostamenti di reddito rilevati.

Strumento di selezione – In altre parole ci sarà una prima fase, cosiddetta di assestamento, in cui saranno presi in esame gli scostamenti più significativi. In questa prima fase, sono esclusi dal rischio redditometro i contribuenti con differenze non superiori a 12.000 euro. Nella formazione delle liste selettive dei “sorvegliati speciali” verrà, quindi, attuata una prima scrematura, escludendo tutti i contribuenti le cui spese si scostano dal reddito dichiarato entro un limite mensile di 1.000 euro.

Scostamento 20% 
- Lo scostamento del 20% tra quanto dichiarato e quanto accertato dovrebbe entrare in scena in una fase successiva. In senso strettamente tecnico, dovrebbe operare solo dopo la fase di selezione e una volta esperito il contraddittorio con il contribuente dove l’Amministrazione Finanziaria alla luce dei chiarimenti forniti dal contribuente sarà tenuta a ricalcolare il nuovo reddito presunto ed effettuare un nuovo controllo con il reddito dichiarato al fine di verificare se risulta superata la soglia del 20%.

Modalità di utilizzo 
– L’utilizzo del redditometro sembra dunque che non avverrà a tappeto, quanto piuttosto sarà frutto (a detta dell’Agenzia delle Entrate) di indagini capillari visto che il Fisco ha messo in conto di praticare per tutto il 2013 solamente 35 mila accertamenti sintetici concentrandosi su un campione di 70.000 contribuenti contro la totalità dei 40 milioni. L’intenzione sembra quella di scoprire i falsi poveri.

Attesa per la circolare – In ogni caso tutti questi dubbi verrano chiariti con l’emanazione della circolare dell’Agenzia delle Entrate che detterà agli uffici periferici i criteri da seguire nell’utilizzo dello strumento accertativo in questione. Nelle istruzioni alle quali sta lavorando l’Agenzia delle Entrate si dovrebbero chiarire altri punti: in particolare dovrà essere precisato se i valori Istat, utilizzati nel redditometro per le spese correnti della famiglia, da soli non determineranno mai un accertamento dovendo gli accertamenti basarsi su spese certe con uso solo “residuale” delle medie Istat.
Autore: Redazione Fiscal Focus

Costi di ricerca e sviluppo


Viaggio tra vincoli civilistici, norme fiscali e misure incentivanti

Gli investimenti in ricerca e sviluppo rappresentano senza dubbio l’elemento cardine dell’evoluzione tecnologica dell’impresa, nonché un significativo indicatore di medio e lungo termine sul suo grado di competitività.
Da un punto di vista contabile, i costi di ricerca e sviluppo capitalizzati rappresentano, tra i costi pluriennali, quelli contraddistinti da una maggiore incertezza nella loro consistenza patrimoniale rispetto ai beni immateriali veri e propri.
Ne derivano una serie di vincoli posti in via prudenziale dalle norme civilistiche per verificarne la congruità ed evitare la distribuzione di dividendi in mancanza di riserve disponibili capienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati.

La classificazione - Il principio contabile nazionale n. 24 suddivide i costi di ricerca e sviluppo in tre categorie:
• ricerca di base, di carattere generico per l’impresa;
• ricerca applicata, relativi ad uno specifico progetto;
• sviluppo, relativi all’implementazione della ricerca applicata.

Il controllo del collegio sindacale - Ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 5, del codice civile, si dispone che “i costi di ricerca e sviluppo aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale”.
In sostanza, in fase di verifica dei costi di ricerca e sviluppo, il collegio sindacale dovrà controllare e accertare l’utilità futura dei suddetti costi e, in particolare, se esistano le condizioni per procedere alla loro capitalizzazione o se debbano essere, al contrario, imputati a Conto economico.

La distribuzione di dividendi - L’art. 2426, comma 1, n. 5, del codice civile, dispone, in relazione ai costi di ricerca e sviluppo, che “è possibile distribuire dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati”.
In sostanza, è possibile distribuire dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi di ricerca e sviluppo non ammortizzati.

I profili fiscali –
 Per ciò che attiene la deducibilità fiscale dei costi di ricerca e sviluppo capitalizzati, l’Amministrazione Finanziaria con la Risoluzione n. 95/E del 25 luglio 2006, ha precisato che la deducibilità dei costi di ricerca e sviluppo è sempre subordinata alla regola della preventiva imputazione al Conto economico dell’esercizio di competenza, secondo quanto previsto dall’art. 109, comma 4 del Tuir, e che in presenza di capitalizzazione di spese di ricerca e sviluppo la deduzione fiscale delle stesse sarà possibile solo alla conclusione della ricerca.
Il principio generale da seguire quindi per la deducibilità del costo di ricerca e sviluppo è la preventiva imputazione a conto economico del costo, sancito dal comma 4, art. 109 Tuir.

I contributi dello Stato - Laddove poi l’impresa riceva dei contributi dallo Stato o da altri enti pubblici a fronte del sostenimento di spese per ricerca e sviluppo, si applicano le regole valide per la tassazione dei contributi in conto capitale, di cui all’art. 88, comma 3, del Tuir.
Autore: Gioacchino De Pasquale

martedì 22 gennaio 2013

Fattura elettronica “trattata” come la cartacea


Tra le tante novità introdotte con la Legge di Stabilità 2013, che ha recepito la Direttiva 2010/45/UE, vi è la nuova definizione di fattura elettronica.
L’intento del legislatore comunitario è quello di equiparare le due tipologie di fatture attraverso la soppressione dei vincoli giuridici e tecnici, che fino a oggi hanno limitato l’uso del documento elettronico, per raggiungere l’obiettivo della riduzione dei costi e aumentare la competitività sul mercato.

La definizione di fattura elettronica
 - Il comma 1 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/72 definisce fattura elettronica la fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico e sottolineando che il ricorso alla fattura elettronica è subordinato all’accettazione da parte del destinatario.
Dunque un file in pdf inviato tramite posta elettronica rispetta i requisiti della fattura elettronica.
L’accettazione del destinatario può essere espressa, tacita o desunta dal comportamento concludente (pagamento della fattura), anche se è consigliabile si tratti di un accordo esplicito.

Autenticità e integrità del documento 
- Al co. 3 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/72 è previsto che il soggetto passivo assicuri l’autenticità dell’origine, l’integrità del contenuto e la leggibilità della fattura, dal momento della propria emissione, sino al termine del suo periodo di conservazione.
Per eliminare gli ostacoli alla procedura ed equiparare i due documenti (elettronico e cartaceo), l’autenticità dell’origine e l’integrità del documento possono essere garantite anche mediante:
sistemi di controllo di gestione che assicurino un collegamento affidabile tra la fattura e la cessione dei beni o la prestazione dei servizi ad essa riferibile;
- altre tecnologie in grado di garantire l’autenticità dell’origine e l’integrità dei dati;
e non solo attraverso l’apposizione della firma elettronica qualificata o digitale dell’emittente o attraverso sistemi EDI di trasmissione elettronica dei dati già previsti.

Conservazione della fattura - L’articolo 1, co. 2, lett. f) del D.L. n. 216/12, ora recepito dalla Legge di Stabilità 2013, sostituisce integralmente il co. 3 dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/72, stabilendo che le fatture elettroniche devono essere conservate in modalità elettronica, in conformità alle disposizioni del D.M. emanato ai sensi dell’art. 21, co. 5, del D.Lgs. n. 82/05.
È, inoltre, previsto che possono essere conservate elettronicamente le fatture create in formato cartaceo ed elettronico, comprese quelle generate in formato elettronico, ma che non possono definirsi fatture elettroniche a causa della mancata accettazione da parte del destinatario.
Dunque:
- le fatture elettronichevanno conservate in modalità elettronica;
- le fatture create in formato elettronico e quelle cartacee possono essere conservate elettronicamente.
La distinzione tra le due tipologie di conservazione si basa sulla nozione di “fattura elettronica” come definita in precedenza; ad esempio, la fattura creata in Pdf e inviata al destinatario a mezzo e-mail si dovrà considerare elettronica se il destinatario ha manifestato la propria accettazione, mentre in caso contrario si dovrà considerare creata in formato elettronico.
La differenza è fondamentale ai fini della conservazione: nel primo caso, si è tenuti alla conservazione elettronica, seguendo la procedura dettata dal D.M. 23 gennaio 2004, mentre nel secondo caso il contribuente potrà scegliere tra conservazione elettronica e conservazione cartacea.
Autore: Carla De Luca

lunedì 21 gennaio 2013

Redditometro e indagini finanziarie


Le movimentazioni possono diventare rilevanti quando non sono compatibili con la capacità contributiva del contribuente

Premessa – Il riscontro delle movimentazioni finanziarie, operato presso gli intermediari, in caso di esito “positivo” rappresenta un importante sostegno alle presunzioni derivanti dal redditometro.

Accertamenti bancari -
 L'utilizzo degli accertamenti bancari in ambito tributario, da strumento occasionale di indagine, sta assumendo i connotati di una consueta prassi investigativa. I dati e gli elementi rinvenuti dal Fisco in sede di accertamento bancario possono essere utilizzati ai fini della rettifica della base imponibile dichiarata dal contribuente, se questi non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione della base imponibile stessa o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

Il procedimento
 - Nel corso del procedimento di accertamento, l'Amministrazione Finanziaria può invitare i contribuenti a fornire dati e notizie rilevanti, anche con riferimento agli elementi informativi acquisiti attraverso le indagini bancarie e finanziarie. A tal proposito, la documentazione bancaria (ottenuta dai verificatori secondo la procedura di cui all'art. 32, co. 1, n. 7), D.P.R. 600/1973 e art. 51, co. 2, n. 7), D.P.R. 633/1972) viene analizzata dagli stessi per riscontrare direttamente le movimentazioni attive (accreditamenti) e passive (prelevamenti).

Le movimentazioni - Può accadere che i verificatori siano in grado di fornire immediata rilevanza alle stesse movimentazioni in quanto, ad esempio, non coerenti con la contabilità del soggetto sottoposto a ispezione o perché, con riguardo alle persone fisiche, non risultino compatibili con la loro complessiva capacità contributiva. Se, invece, a tali movimentazioni gli organi di controllo non sono in grado di fornire immediata rilevanza ed attinenza ai fini dell'accertamento, gli stessi possono interpellare preventivamente il contribuente.

L’utilizzo dei dati 
- I dati acquisiti nel corso delle indagini bancarie e finanziarie possono essere utilizzati dai verificatori per rettificare il reddito dichiarato dal contribuente, qualora il soggetto verificato non dimostri che ne ha tenuto conto in sede di dichiarazione del reddito ovvero che non hanno rilevanza a tal fine.

Redditometro
 – Alla luce di tale procedimento è probabile la connessione tra l’accertamento sintetico e le indagini finanziarie. Le relazioni tra accertamento sintetico e indagini finanziarie sono infatti del tutto fisiologiche: il riscontro delle movimentazioni finanziarie, operato presso gli intermediari, in caso di esito “positivo” rappresenterebbe un formidabile sostegno per le presunzioni di natura sintetica. Un’eventualità del genere potrebbe essere riscontrata, ad esempio, nel caso in cui il tenore di vita del contribuente risultasse tanto non congruo quanto “nebuloso” in termini di titolarità delle spese necessarie per acquisizione e/o mantenimento dei beni e dei servizi.

Strategia dell’amministrazione 
- La strategia operativa dell'Amministrazione Finanziaria si basa su un elemento che al tempo stesso costituisce un'opportunità e un punto di forza: utilizzare la tecnologia come alleato efficace nella lotta all'evasione fiscale. In tale consapevole e mirata prospettiva vanno interpretati gli ultimi interventi normativi tesi a rafforzare significativamente l'efficacia dello spesometro, del redditometro e anche il potenziamento dei poteri ispettivi in materia di indagini finanziarie. Ciò posto, pare che tale indirizzo sposato dall'Amministrazione Finanziaria contribuisca a dare una risposta tangibile e concreta alla problematica relativa alla circostanza che “da troppo tempo il 95% dei contribuenti dichiara redditi inferiori a 50.000 euro”.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 17 gennaio 2013

Minimi: niente modifiche al regime delle auto


La deducibilità dalle imposte dirette rimane pari al 50%

Premessa – Per i minimi le spese a uso promiscuo, indipendentemente dalle specifiche limitazioni previste dalle norme sul Tuir, sono deducibili nella misura del 50% dell’importo corrisposto. La riduzione della deducibilità al 20% previste per le auto dalla Legge di Stabilità 2013 non si applicherà, pertanto, ai contribuenti minimi.

Legge di stabilità 
– L’art. 164 del Tuir ha previsto fino al 31.12.2012 la deducibilità limitata nella misura del 40 per cento con riguardo alle autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli non utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell'attività propria dell'impresa. Con la Legge di Stabilità 2013 tale quota di deducibilità è scesa dal 2013 dal 40% al 20%. Questo ulteriore inasprimento ha attraversato alterne vicende. Infatti, era contenuto nel testo del disegno di Legge di Stabilità varato dal Governo a ottobre, ma nel corso del dibattito parlamentare per arrivare all'approvazione del Ddl era stato eliminato con un emendamento. Infine, è stato fatto ricomparire e approvato definitivamente.

Contribuenti minimi
 – Tale novità non coinvolge i contribuenti che si avvalgono del “Regime dei Minimi”. Per tale regime sono, infatti, previste delle regole particolari di determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sul reddito. In particolare, l’art. 1 comma 96 della Finanziaria 2008 ha previsto che il reddito di impresa o di lavoro autonomo dei soggetti che rientrano nel regime dei minimi “è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi o compensi percepiti nel periodo d’imposta e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività d’impresa o dell’arte o della professione”. La norma non fa alcun rinvio, quanto alle modalità di determinazione delle componenti reddituali positive e negative, ai criteri del Tuir. Questo significa che, nel rispetto del principio di cassa, la base imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva è data da una mera somma algebrica estranea a qualunque limitazione di deducibilità, se non laddove viene imposta (50%) dall’impiego promiscuo del bene.

Circolare 7/E/2008 Agenzia delle Entrate 
- Il mancato rinvio alle norme del Tuir è stato confermato prima nella circolare n. 7/E/2008 dove viene affermato che: “a prescindere dalle disposizioni del TUIR che prevedono uno specifico limite di deducibilità per le spese di acquisto delle autovetture e dei telefonini, si ritiene che, come precisato con la circolare n. 73/E del 2007, al paragrafo 2.1, trattandosi di beni ad uso promiscuo, tali spese rileveranno, in ogni caso, nella misura del 50 per cento del relativo corrispettivo. La stessa limitazione si applica anche ai canoni di leasing nell’ipotesi in cui i menzionati beni siano ad uso promiscuo ed acquisiti mediante un contratto di leasing finanziario”.

Auto per i minimi
 - Considerato che la parziale deducibilità (20%) dei costi per le autovetture è prevista dall’art. 164 del Tuir (modificato dalla Legge di Stabilità 2013) si ritiene che tale limitazione non interferisca con la disciplina dei c.d. “minimi” per cui in caso di utilizzo promiscuo dei beni questi potranno continuare a dedurre il 50% dei costi sostenuti.

mercoledì 16 gennaio 2013

Redditometro: calcolo dello scostamento


Il calcolo del 20% deve essere effettuato sul reddito dichiarato

Premessa – Il D.L. 78/2010 ha modificato il parametro di riferimento che consente all’Ufficio di “attivare” l’accertamento sintetico e da “redditometro”. L’Ufficio potrà, infatti, utilizzare l’accertamento sintetico e da “redditometro”, a partire dai redditi 2009, qualora il reddito accertato ecceda di almeno il 20% il reddito dichiarato dal contribuente. Circa le modalità di calcolo di tale scostamento, si fa presente che tale percentuale deve essere calcolata sul reddito dichiarato.

Nuova percentuale di scostamento - Una delle principali differenze tra l’art. 38 D.P.R. 600/73 post modifiche D.L. 78/2010 rispetto alla previgente versione dell’articolo 38, è data dalle condizioni necessarie per procedere all’accertamento sintetico. In primo luogo va sottolineata la circostanza che il “delta” tra il reddito accertabile e quello dichiarato non è più un “quarto”, ma scende a un “quinto”: pertanto è ora sufficiente che il reddito sinteticamente accertabile risulti superiore al 20%, e non al 25% come in passato, per potersi concretizzare il presupposto per l’accertamento sintetico ovvero per il “redditometro”.

Disposizione normativa - La norma sul punto è decisamente chiara quando afferma che “la determinazione sintetica del reddito complessivo di cui ai precedenti commi è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato”. La norma attesta, quindi, che il confronto va effettuato misurando l’eccedenza del reddito “accertabile” rispetto a quello dichiarato, ponendo dunque fine alla querelle che si era venuta a creare in passato con uffici che, nell’indeterminatezza della versione previgente, procedevano nei termini appena detti e altri che, invece, incrementavano il reddito dichiarato del 25% per poi analizzare il quantum del reddito sinteticamente attribuibile al soggetto controllato.

Formula - Ne deriva, quindi, che la formula per il riscontro di “capienza” del reddito dichiarato, in quello sinteticamente attribuibile al contribuente è la seguente: RSA > RD*1,20 dove: RSA = Reddito Sinteticamente Accertabile RD = Reddito Dichiarato
Esempio - Per cui ricorrendo a un esempio di un contribuente che ha dichiarato 70.000 euro di reddito complessivo, lo stesso sarà accertabile sinteticamente se le analisi compiute dall’ufficio permetteranno a quest’ultimo di contestare un reddito complessivo superiore a 84.000 euro, in ragione della predetta formula dove RSA > (70.000*1,20) e quindi RSA > 84.000.

Telefisco – Tale calcolo trova conferma, in quanto dichiarato dall’Agenzia delle Entrate in occasione di Telefisco 2012. In tale occasione l’Agenzia ha affermato che “si ritiene che la norma vada interpretata considerando la percentuale riferita al reddito dichiarato” illustrando il seguente esempio: reddito dichiarato 82.000 euro, reddito accertabile 100.000. In quel caso lo scostamento superava il 20% (16.400), per cui era possibile l'accertamento. La risposta a Telefisco è l'unica presa di posizione ufficiale in questa materia se si eccettuano gli esempi allegati al decreto del Ministero delle Finanze 19 novembre 1992 e la direttiva del Secit del 1993, che però prendevano come riferimento, per determinare quella che è una vera e propria franchigia, il reddito accertabile.

Deduzioni e detrazioni – Si ricorda comunque che con il comma 8, dell’articolo 38 del D.P.R. 600/73 il legislatore ha disposto che dal reddito determinato sinteticamente si dovrà tenere conto, in diminuzione, degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 del D.P.R. n. 917/1986. Il citato articolo 10 del Tuir elenca gli oneri sostenuti dal contribuente che devono essere dedotti dal reddito complessivo, se non direttamente deducibili dai singoli redditi che concorrono a formare lo stesso, purché risultanti da idonea documentazione.
Autore: Redazione Fiscal Focus

martedì 15 gennaio 2013

Incasso fattura in contanti


D: Un professionista deve incassare una fattura in contanti. Per il superamento del limite di € 1.000 bisogna fare riferimento al totale parcella (al lordo della ritenuta di acconto) oppure al netto da incassare (totale parcella meno la ritenuta)? Inoltre è possibile incassare detta fattura per metà in contanti e per metà con strumenti tracciabili?

R: L’art. 49 del D. Lgs. n. 231/2007 vieta il trasferimento di denaro contante e titoli al portatore (libretti di deposito bancari o altri titoli al portatore) per importi superiori ai 1000 euro effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi. Visto il carattere oggettivo del divieto, ai fini del superamento del limite deve farsi riferimento al valore effettivamente trasferito in denaro o tramite altri titoli al portatore (in questo caso, la somma totale al netto della ritenuta). Rimane tuttavia possibile adottare diverse modalità di pagamento rispetto alla stessa fattura, ossia trasferire la parte non eccedente i 999,99 euro in denaro e la parte eccedente, che determinerebbe il superamento del limite, attraverso strumenti di pagamento tracciabili (assegni bancari non-trasferibili, bonifici bancari, etc.).
 

lunedì 14 gennaio 2013

Redditometro: la difesa per il contribuente


Il contribuente sarà tenuto a una ricostruzione dei movimenti finanziari

Premessa – Con l’arrivo, da marzo, degli accertamenti con il nuovo Redditometro, il contribuente per giustificare la correttezza della propria posizione, dovrà riuscire a ricostruire la “vita finanziaria” propria e della famiglia, dimostrando un livello di spesa inferiore a quello presunto, oppure l'esistenza di redditi legittimamente non dichiarati, oppure ancora di disponibilità accumulatesi nel tempo.

Azioni difensive
 - Innanzitutto va sottolineata la circostanza che, quanto alle azioni difensive da condurre, vanno utilizzate tutte le opportunità e gli strumenti che la normativa vigente offre al contribuente, a cominciare dalla facoltà concessa ex articolo 38, sesto comma del D.P.R. n. 600/73 sino al ricorso dinanzi al giudice tributario, passando anche per l’eventuale contraddittorio da accertamento con adesione: lungo tutto questo asse ideale sussiste comunque la necessità che le argomentazioni del contribuente siano corredate da adeguata documentazione circa la disponibilità delle somme di denaro che permettono il sostenimento di un alto tenore di vita così come degli incrementi patrimoniali.

Investimenti – Per quanto riguarda in particolare gli investimenti, nel nuovo Redditometro giocano in rapporto di 1 a 1 sull'anno di effettuazione dell'acquisto (ad esempio, dell'abitazione), quando invece l'esperienza comune insegna che gli stessi sono solitamente possibili anche grazie al risparmio di più annualità. Inoltre, la tabella A allegata al decreto, da un lato, consente di nettizzare l'esborso con i disinvestimenti netti dell'anno e dei quattro precedenti; tuttavia, l'articolo 3, ammonisce che il reddito ricostruito deve tenere conto anche della quota di risparmio riscontrata, formatasi nell'anno. Insomma, se l'accumulo di denaro (risparmio) legittimamente presuppone l'esistenza di un reddito nel periodo, ci sembra ragionevole ritenere che l'utilizzo di quel risparmio rappresenti tecnicamente un disinvestimento che deve decrementare l'ammontare della spesa sostenuta.

Disinvestimenti - I “disinvestimenti” patrimoniali realizzati negli anni precedenti quelli sotto osservazione oppure a quelli in cui sono stati realizzati gli incrementi patrimoniali rappresentano, quindi, una giustificazione di assoluto rilievo per il contribuente. Ad esempio, la dismissione di un immobile ricevuto per successione, alla quale qualche tempo dopo ha fatto seguito un incremento patrimoniale, necessariamente deve essere considerato dal Fisco a sottrazione dell’importo considerato a titolo di incremento patrimoniale: questa disponibilità di denaro, infatti, sortisce l’effetto di depotenziare la presunzione del Fisco.

Finanziamenti - Al pari dei “disinvestimenti” anche l’utilizzo di finanziamenti rappresenta un elemento di difesa: il ricorso al credito, come nel classico caso del mutuo, per l’acquisto di un’abitazione incide ad esempio sull’importo da considerare ai fini dell’incremento patrimoniale. Ovviamente, anche le disponibilità finanziarie “impreviste” come le vincite o i risarcimenti assicurativi, quest’ultimi percepiti al di fuori del reddito d’impresa, così come le eredità e le donazioni ricevute rappresentano delle egregie argomentazioni difensive: vale la pena ribadire, però, che se si vuole coltivare qualche speranza di accoglimento delle proprie ragioni, già in ambito contraddittorio, occorre che le stesse siano corredate da idonea documentazione.

Coinvolgimenti di terzi - Laddove siano state avanzate giustificazioni coinvolgenti un terzo, la documentazione acquisita potrebbe essere esaminata, oltre che per procedere o meno con l’accertamento, anche per valutare la complessiva posizione fiscale dell’eventuale contribuente correlato al soggetto selezionato in quanto è risultato aver effettivamente sostenuto gli esborsi o le spese di gestione: in sostanza, l’eventuale “chiamata in causa” di un parente o di un terzo non è indenne da conseguenze.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 11 gennaio 2013

Quali differenze fra Società semplificata e Società a capitale ridotto?


Dopo il parere ministeriale del 10 dicembre 2012 (Ministero della Giustizia), recepito dalla Circolare n. 3657/C del 2 gennaio 2013 dal Ministero dello Sviluppo economico, la S.r.l.s. (società a responsabilità limitata semplificata) perde la rigidità dello statuto standard.

Le due nuove forme di S.r.l. - Nel nostro ordinamento hanno visto la luce due nuove società:
- la S.r.l.s. (Società a responsabilità limitata semplificata), grazie all'articolo 3, comma 1 del D.L. 1/2012, che ha dato vita all'articolo 2463-bis c.c.;
- la S.r.l.c.r. (Società a responsabilità limitata a capitale ridotto), introdotta dall'articolo 44 del D.L. 83/2012.

La precedente visione della dottrina
 - L’articolo 2463-bis, in particolare, ha previsto che l'atto costitutivo della S.r.l.s. “deve essere redatto per atto pubblico in conformità al modello standard tipizzato con decreto” ministeriale.
L’interpretazione ormai consolidata in dottrina riteneva che il testo standard di statuto (approvato con D.M. 138/2012) fosse pressoché immodificabile o comunque fosse caratterizzato da una certa rigidità, anche per il fatto che, trattandosi di una prestazione professionale gratuita ex lege, tale gratuità venisse correlata alla limitazione nell'attività notarile, data dalla necessità di adottare il modello ministeriale.
Le uniche modifiche consentite avevano poca rilevanza, quali l'indicazione della durata della carica dell'organo amministrativo, la determinazione della data di chiusura del primo esercizio sociale e poco altro.
Lo stesso Ministero dello Sviluppo economico, con la Nota prot. n. 182451 del 30 agosto 2012, aveva confermato tale rigidità.

Il parere del Ministero della Giustizia rende modificabile lo statuto – In seguito a una visione completamente opposta, fornita dal Ministero della Giustizia sul tema, anche il Min. dello Sviluppo economico comunica alle Camere di commercio il cambiamento di rotta.
Sostanzialmente esistono due tipi di S.r.l.s.:
- una S.r.l.s. “gratuita”, che nasce quando l'atto costitutivo viene stipulato in conformità al modello standard e che prevede la prestazione gratuita del notaio;
- un altro tipo di S.r.l.s. “onerosa”, che può discostarsi dal modello standard e che, comportando un intervento professionale del notaio, va retribuito (dato che il valore dell'atto, è compreso tra 1 e 9.999 euro, il compenso notarile può variare da 800 euro a 1.300 euro).
Nell'ambito del primo tipo può, comunque, rientrare anche quell'atto costitutivo che, pur non essendo conforme al modello ministeriale, comporti comunque poche variazioni.

Le conseguenze – L’interpretazione del Ministero getta oggi gli operatori in una totale confusione tra la S.r.l.s. e la S.r.l.c.r., dato che il discrimen tra questi due tipi societari era proprio quella che nella S.r.l.c.r. non c'è la previsione di uno statuto standard.
Infatti, se già è stata data in passato un’interpretazione non conforme al dettato normativo quando si è detto che la Srlcr può essere costituita anche da chi non abbia compiuto i 35 anni d'età (nonostante il testo dicesse che la Srlcr può essere costituita da soggetti “che abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione”) dal Ministero dello Sviluppo economico con parere n. 0182223 del 30 agosto 2012, non è chiaro oggi quale sia la differenza tra la Srls e la Srlcr visto che entrambe hanno il capitale inferiore a 10.000 euro e hanno come soci solo le persone fisiche.
L'unica diversità tra le due forme rimane quella che nella Srls solo i soci possono essere eletti amministratori, mentre la Srlcr acquisisce come amministratori anche persone fisiche non socie.
Autore: Redazione Fiscal Focus

mercoledì 9 gennaio 2013

Nuova numerazione fatture

La disposizione è applicabile a partire dal primo gennaio.2013

Tra le disposizioni contenute nella Direttiva fatturazione, inserita nella Legge di Stabilità per il 2013, al comma 325, lett. d), provvede a riscrivere l’art. 21, DPR n. 633/72, denominato “Fatturazione delle operazioni”, adeguandolo alla normativa comunitaria.
La citata disposizione prevede, tra l’altro, riscrivendo il comma 2, lettera b), art. 21, D.P.R. 633/1972, che nella fattura devono essere presente “numero progressivo che la identifichi in modo univoco”.

Prima e dopo Fino al 31.12.2012 si prevedeva che “la fattura è datata e numerata in ordine progressivo per anno solare […]”.
A seguito delle citate modifiche, a partire dal 2013, si prevede che “la fattura contiene le seguenti indicazioni: […] b) numero progressivo che la identifichi in modo univoco; […]”.
Dal confronto delle due disposizioni è possibile riscontrare che:
- non è più prevista la numerazione “per anno solare”, ossia che la numerazione delle fatture inizi ogni anno dal numero 1;
- il numero (progressivo) deve identificare la fattura in modo univoco.

Le implicazioni pratiche – In termini pratici significherebbe che due fatture non possono avere lo stesso numero, ancorché differenziate dalla data di emissione in due anni diversi. In attesa degli auspicabili chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, si propongono di seguito alcune interpretazioni del precetto normativo in esame.

Soluzione 1 - Proseguire nel 2013 con la numerazione del 2012. Così, se l’ultima fattura emessa nel 2012 è la n. 334 la prima del 2013 sarà la n. 335, la seconda la n. 336 e così via.
Ciò consentirebbe di poter “contare” da subito sulla univocità del documento.

Soluzione 2 - Iniziare dal 2013 con la numerazione progressiva partendo da 1, senza alcun ulteriore elemento distintivo, proseguendo con la numerazione anche negli anni successivi. Ciò non appare conforme alle nuove regole in quanto il n. 1 è già stato attribuito ad una fattura anche prima del 2013. Tuttavia potrebbe essere accettata sulla base del fatto che le nuove regole, come sopra accennato, sono applicabili alle operazioni effettuate dall’1.1.2013.

Soluzione 3 - Iniziare dal 2013 con la numerazione progressiva nell’ambito di ciascun anno, inserendo nel numero della fattura l’anno di emissione della stessa. Così, la prima fattura emessa avrà il n. 1/2013, la seconda il n. 2/2013, e così via.
È possibile comunque invertire l’anno con il numero e pertanto avere la fattura n. 2013/1, n. 2013/2, e così via.

I consigli delle software house
– Le soluzioni caldeggiate dalle software house sono le seguenti:
Soluzione 1 - Continuare nel 2013 con la numerazione del 2012. In questo caso sarà sufficiente indicare nella tabella delle numerazioni fatture e notule (TBPA09) anziché il numero zero (0) di inizio anno il numero dell'ultima fattura stampata nel 2012.
Soluzione 2 - Lasciare la numerazione come da standard (quindi ricominciare da 1 nel 2013), ma ASPETTARE OBBLIGATORIAMENTE il rilascio di un aggiornamento successivo (previsto per la settimana del 7-11 gennaio 2013), prima di emettere le fatture del 2013, dove verrà data poi la possibilità agli operatori di personalizzare il modulo della fattura, accodando alla numerazione l'anno di emissione della fattura rendendolo così anche in questo caso "univoco".
Autore: Gioacchino De Pasquale

martedì 8 gennaio 2013

Crediti 2012: la compensazione dal 16 gennaio


I crediti maturati nel 2012 potranno essere compensati dal 16 gennaio, attenzione però ai limiti in vigore

Premessa – A partire dal 16 gennaio occorre prestare attenzione ai vincoli generali per le compensazioni (debiti iscritti a ruolo) e ai vincoli specifici previsti per le compensazioni del credito Iva. Da tale data è, infatti, possibile compensare i crediti fiscali maturati nel 2012, sia pure entro le limitazioni generali.

Compensazioni del credito Iva -
 Come noto, al fine di contrastare il fenomeno legato agli utilizzi di crediti inesistenti, sono state introdotte alcune limitazioni nella possibilità di adoperare il credito IVA in compensazione nel modello F24. Giova in primis precisare come le limitazioni in esame riguardino le sole compensazioni “orizzontali” (cioè l’utilizzo del credito IVA per il pagamento di debiti fiscali di altra natura), e non invece quelle “verticali” (c.d. “Iva su Iva”). Nel dettaglio il legislatore ha previsto che per le compensazioni annue di importo superiore a € 5.000, l’utilizzo del credito IVA è consentito solamente a partire dal giorno 16 del mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale.

Compensazioni del 16 gennaio – Il contribuente che ha maturato al 31.12.2012 un credito Iva qualora intenda utilizzarlo in compensazione in misura superiore al limite dei 5.000 euro (libero sin dal 1° gennaio 2013), dovrà quindi attendere il 16 del mese successivo a quello di trasmissione della dichiarazione Iva che, come l'anno scorso, potrà avvenire (in forma autonoma) dal 1° febbraio quindi non prima del 16 marzo 2013. Gli F24 del 16 gennaio e quelli del 16 febbraio potranno evidenziare crediti Iva 2012 non superiori, nel complesso, a 5.000 euro (salva la detrazione Iva da Iva). Ulteriori utilizzi sono rinviati al 16 marzo sempreché entro fine febbraio si sia inviato il modello Iva 2013.

Crediti maturati nel 2011 – Si ricorda che il credito Iva 2011 residuo può essere ancora compensato anche per importi superiori a 15.000 € qualora la Dichiarazione Iva 2012 sia stata presentata con l’apposizione del visto di conformità. La circolare n. 1/E del 15/01/2010, aveva infatti precisato che il limite all’utilizzo del credito Iva si intende riferito all’anno di maturazione del credito e non all’anno solare di utilizzo in compensazione.

Debiti iscritti a ruolo – Altra limitazione da ricordare è quella introdotta dal D.L. 78/2010, il quale ha previsto il divieto di compensazione dei crediti per tutti i contribuenti che hanno dei debiti iscritti a ruolo per un importo superiore a € 1.500. Tale disposizione fa riferimento a crediti e debiti scaturenti da imposte erariali, escludendo pertanto tutte quelle somme riguardanti i tributi locali, i contributi previdenziali e le altre richieste. Ciò che importa evidenziare è che la normativa fa riferimento esclusivamente alle compensazioni orizzontali, ovvero alla possibilità di compensare tramite il modello F24 i crediti derivanti da tributi e contributi, per estinguere tributi e contributi differenti. In caso di violazione di tale divieto, sarà applicata una sanzione pari al 50% dei debiti iscritti a ruolo e per i quali è scaduto il termine di pagamento fino a concorrenza dell’ammontare indebitamente compensato.
Autore: Devis Nucibella

lunedì 7 gennaio 2013

Redditometro: pubblicato il decreto


Nella G.U. n. 3 del 4 gennaio 2013 pubblicato il decreto attuativo del nuovo redditometro 


Premessa – Con il Decreto del ministro dell'economia del 24 dicembre 2012, pubblicato in G.U. n. 3 del 4 gennaio 2013 diventa operativo il nuovo redditometro. I controlli partiranno dal marzo 2013 e prenderanno in considerazione i periodi d’imposta a partire dal 2009.

Il nuovo redditometro – Come previsto dal comma 9 dell’art. 38 D.p.r. 633/72 “con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l'ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d'imposta”. Secondo quanto previsto dalla legge istitutiva degli accertamenti sintetici era quindi necessaria l’approvazione di un decreto da parte del Ministero dell’Economia affinché partissero gli accertamenti da redditometro nella sua nuova versione post D.L. 78/2010.

Decreto attuattivo – Il Decreto del Ministero dell’Economia è ora arrivato con l’approvazione avvenuta il 24 dicembre 2012 e la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuta il 4 gennaio 2013. Il decreto attuativo conferma quelle che erano già state le anticipazioni fornite dalle Entrate nel corso della presentazione del Redditest dello scorso 20 novembre. Infatti secondo quanto previsto dal testo approvato e dall’allegato al Decreto le voci da considerare saranno più di cento 100 riconducibili a sette diversi gruppi (abitazioni, mezzi di trasporto, assicurazioni e contributi, istruzione, tempo libero e cura della persona, investimenti mobiliari e immobiliari netti e altre spese significative). Assumono, inoltre, importanza, l’ammontare degli acquisti e delle spese significative sostenute da tutta la famiglia, la composizione del nucleo familiare, l’area geografica di residenza, i risparmi e gli incrementi patrimoniali.

Altre spese e calcoli Istat – Quel che risulta nuovo però è il fatto che a tali spese viene dato un “contenuto induttivo” (cioè la loro capacità di trasformarsi in reddito presunto) attraverso i calcoli effettuati sulla spesa media che emerge dall'indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel programma statistico nazionale (Istat). Inoltre alle spese indicate nella tabella A si sommano le altre spese sostenute dal contribuente non contemplate dalla tabella, qualora sia nota all'Agenzia la spesa sostenuta per l’acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento. Perfino la stessa tabella prevede sempre una voce residuale “altro”, dove si devono considerare le spese diverse da quelle citate, che vengono valorizzate in base a quanto effettivamente sostenuto dal contribuente (se l'importo è conosciuto dall'Agenzia).

Valore più elevato - Quando alcuni beni o servizi rilevanti potranno essere desunti, oltre che dalle citate indagini di settore, anche da informazioni presenti in anagrafe tributaria il decreto prevede che ai fini della ricostruzione sintetica del reddito l'ufficio debba sempre considerare il valore più elevato.

Risparmio – C’è poi la parte dedicata agli investimenti e al risparmio. Ai valori calcolati dalle spese sostenute e dal loro “contenuto induttivo” si somma, infatti, quello degli incrementi patrimoniali, al netto dei disinvestimenti dell'anno e dei disinvestimenti “netti” dei quattro anni precedenti. Nel calcolo poi bisognerà considerare anche la quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.

Difesa contribuente 
– Il decreto lascia poi spazio alla possibilità di difendersi del contribuente. Secondo il testo approvato sarà, infatti, il contribuente a dover dimostrare che il finanziamento delle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d'imposta; da redditi esenti o comunque esclusi dalla base imponibile o dal contributo di altri soggetti. Inoltre il contribuente potrà contestare e dimostrare il differente ammontare delle spese che il Fisco gli attribuisce.
Autore: Redazione Fiscal Focus

venerdì 4 gennaio 2013

L’accertamento con adesione


L’Agenzia pubblica una brochure per spiegare ai contribuenti i vantaggi dell’accertamento con adesione

L’accertamento con adesione – È un’opportunità per il contribuente, che ha subìto accessi, ispezioni, verifiche oppure ricevuto un avviso di accertamento, di aprire una finestra di dialogo con il Fisco, presentare nuovi elementi o dati e ridiscutere la propria posizione.
Se il contradditorio va a buon fine, si ridefiniscono le maggiori imposte dovute, con vantaggi per entrambe le parti che possono così evitare un lungo contenzioso.

Chi può aderire allo strumento - Tutti i contribuenti (persone fisiche, società di persone, associazioni professionali, società di capitali, enti, sostituti d’imposta) possono adottare l’accertamento con adesione per definire con il Fisco imposte dirette e imposte indirette accertate, indipendentemente dall’ammontare della contestazione.

I vantaggi - L’accertamento con adesione offre al contribuente e all’ufficio la possibilità di ridefinire la pretesa tributaria attraverso un contradditorio, in occasione del quale possono essere presentati nuovi dati e documenti. Se il procedimento di accertamento con adesione si conclude positivamente, il contribuente usufruisce anche della riduzione delle sanzioni a un terzo del minimo.
Ad esempio: in caso di infedele dichiarazione è comminata una sanzione che va dal 100 al 200% dell’imposta evasa; fatta 100 l’imposta evasa, la sanzione può arrivare fino a 200 con una richiesta complessiva di 300 (100 imposta + 200 sanzione). Se il contribuente si avvale dell’accertamento con adesione e in sede di contraddittorio fornisce documenti di cui l’Agenzia non disponeva, sulla base dei quali la richiesta del Fisco viene rideterminata in 90 (rispetto agli originari 100), la sanzione sarà pari a 30, cioè un terzo del minimo (100% di 90). L’importo finale che il contribuente dovrà versareentro 20 giorni per chiudere l’accertamento con adesione sarà pari a 120 (90 di imposta evasa e 30 di sanzione).

Inoltre, nel caso in cui siano presenti dei rilievi penali, il pagamento delle somme dovute rappresenta una circostanza attenuante. Le sanzioni penali previste vengono ridotte fino a un terzoe quelle accessorie non vengono applicate.

La procedura – L’iter può essere avviato sia dall’Agenzia delle Entrate sia dal contribuente. L’ufficio invita il contribuente a un confronto diretto al fine di verificare i presupposti per un’eventuale ridefinizione delle maggiori imposte dovute. L’invito deve indicare giorno e luogo del contraddittorio, i periodi d’imposta interessati e altri elementi rilevanti per l’accertamento.
Il contribuente non è obbligato a presentarsi, ma nel caso in cui riceva successivamente un avviso di accertamento non potrà ricorrere alla procedura di adesione. 
Il contribuente può presentare la domanda in seguito ad accessi, ispezioni e verifiche che lo riguardano, effettuati dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza, oppure dopo aver ricevuto la notifica di un atto di accertamento.
In quest’ultimo caso, la domanda va consegnata direttamente, o inviata tramite posta, all’ufficio che ha emesso l’atto, entro 60 giorni dalla notifica e prima di impugnarlo.
Entro 15 giorni dal ricevimento della domanda, l’ufficio invita il contribuente a comparire.
Il termine per presentare ricorso è sospeso per 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza.Se nel frattempo il contribuente però presenta ricorso, rinuncia automaticamente ad avvalersi dell’adesione.
In caso di ridefinizione condivisa dalle parti delle maggiori imposte dovute, si stipula un atto che indica gli elementi e le motivazioni dell’adesione, le imposte, le sanzioni, gli interessi e le altre eventuali somme dovute.
La procedura si conclude soltanto con il versamento degli importi dovuti, o della prima rata, se il contribuente ha fatto l’opzione per il pagamento rateale.

Il versamento 
- Il contribuente può versare le somme dovute:
- in un’unica soluzione, entro 20 giorni dalla stipula dell’accordo;
- o può scegliere il pagamento rateale, in massimo 8 rate trimestrali di uguale importo;
- oppure di 12 quando l’importo totale supera 51.645,70 euro. 
La prima rata va versata entro 20 giorni dalla redazione dell’atto, senza la necessità di fornire garanzie. Il pagamento va effettuato tramite F23 o F24, a seconda del tipo di imposta.
Autore: Redazione Fiscal Focus

giovedì 3 gennaio 2013

Riscossione soft per mini - debiti


Annullamento automatico dei vecchi ruoli e moratoria di quattro mesi per le azioni esecutive

Dal 1° luglio 2013, saranno annullate tutte le cartelle per importi non riscossi fino a duemila euro derivanti da ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999. Inoltre, per le riscossioni coattive di importi fino a mille euro, l’agente per la riscossione non potrà attivare le azioni cautelari ed esecutive prima che siano decorsi 120 giorni dalla spedizione, per posta ordinaria, di un avviso contenente il dettaglio del ruolo. È quanto prevede la Legge di Stabilità 2013. Ma andiamo con ordine.

Debiti fino a 2mila euro.
 Decorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore della predetta legge, i crediti di importo fino a duemila euro, comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, saranno annullati. Trattandosi di un annullamento di diritto, esso opererà senza che sia necessaria un'istanza del debitore. Ai fini del conseguente discarico ed eliminazione dalle scritture patrimoniali dell'ente creditore, con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze saranno stabilite le modalità di trasmissione agli enti interessati dell'elenco delle quote annullate e di rimborso agli agenti della riscossione delle relative spese per le procedure esecutive poste in essere.

31 dicembre 2013. Come detto, la novella determina l'effetto di “azzeramento” dei ruoli ultradecennali di importo non superiore a duemila euro decorsi sei mesi dal 1° gennaio 2013 (data di entrata in vigore della Legge di Stabilità). Pertanto, lo stato di morosità dovrà essere verificato alla data del 30 giugno 2013.

Blocco azioni esecutive e cautelari. Un’altra novità di rilievo è quella che concerne la riscossione coattiva dei debiti fino a mille euro. Il comma 544 della Legge di Stabilità infatti prevede che, a partire dal 1° gennaio 2013, in tutti i casi di riscossione coattiva di debiti fino a 1000 euro, “non si procede alle azioni cautelari ed esecutive prima del decorso di centoventi giorni dall'invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio delle iscrizioni a ruolo”. Insomma, per almeno quattro mesi, l’agente non potrà attivare le azioni esecutive né iscrivere, per esempio, il fermo amministrativo dei veicoli.

Sanatoria per l’agente. Si segnala, infine, che per i crediti superiori a duemila euro, iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999, esaurite le attività di competenza, l'agente della riscossione è liberato da qualsiasi responsabilità amministrativa e contabile, fatta salva l’ipotesi di dolo.

Discarico automatico. Per comprendere l’impatto della nuova disposizione, occorre ricordare che l'ente incaricato della riscossione non è liberato dalla responsabilità di riscuotere gli importi affidatigli (per esempio, dalle Entrate o dagli enti locali) se non ottiene il provvedimento di discarico per inesigibilità da parte del creditore. A tal fine, gli articoli 19 e 20 del D.Lgs. n. 112/1999 prevedono che l'agente della riscossione debba dimostrare, tra l’altro, di avere notificato la cartella di pagamento nei termini di legge e di avere eseguito le attività cautelari ed esecutive sui beni del debitore, comprese quelle segnalate dall'ente creditore. Ebbene, in ordine alle partite di credito ultradecennali non si applicano le disposizione di cui agli articoli 19 e 20 citati. L'effetto automatico del discarico, dal lato del debitore, comporterà la cancellazione del debito del contribuente.
Autore: Redazione Fiscal Focus